mercoledì 9 settembre 2015

Sangue del mio sangue

Bobbio, XVII Secolo. Benedetta, una nobile costretta a farsi suora, seduce un sacerdote, Fabrizio, che finisce per uccidersi. Federico, giovane uomo d'arme e fratello del morto, vuole riabilitarne la memoria e si presenta, perciò, al convento. Colei che, secondo l'Inquisizione, lo avrebbe amato, sedotto e condotto alla follia, viene sottoposta ad una serie di prove, tese a piegarne la volontà. Ma ella non riconosce pentimento e, ben presto, la vendetta anelata da Federico muta in desiderio: la donna è perciò condannata alla prigione perpetua, e murata viva in una cella. 
Bobbio, oggi. Federico, un presunto ispettore ministeriale, bussa al medesimo convento: assieme a lui, un miliardario russo che vorrebbe acquistare l'antico complesso. In apparenza abbandonato all'usura del tempo e all'incuria del comune, l'edificio è abitato dal misterioso conte Basta, che vive solo di notte ed attraversa il paese, interrogando gli abitanti sullo 'stato delle cose'. Le cose in mutazione sotto la spinta del 'nuovo' vengono avversate dall'enigmatico individuo, che vorrebbe conservare una sorta di status quo...

Dunque, Bellocchio ancora una volta torna a Bobbio, al paese natale teatro del suo mirabile esordio "I pugni in tasca" (1965), in epoca più recente luogo d'ambientazione per il delicato "Sorelle Mai" (2010) e che, nella vita, è diventato il posto in cui egli ha impiantato il suo laboratorio di cinema. Fatto in parte di pezzi di cose girate dai suoi allievi, quest'ultimo lungometraggio incorpora molti tra i temi da lui già affrontati in passato o provenienti dalla sua autobiografia: ad esempio, quello della strega vista quale emblema della femminilità irriducibile agli schemi del potere maschile arriva diritto da "La visione del sabba" (1988), laddove l'argomento del fratello suicida - il suo gemello, nella vita - sta al centro de "Gli occhi, la bocca" (1982). 

Quel che sorprende, davvero, è la capacità del cineasta piacentino di sperimentare e di sperimentarsi, di produrre libere variazioni, di mescolare Storia e storie con una libertà creativa davvero invidiabile, mettendosi in discussione ogni volta e, sovente, trovando una perfetta sintesi tra rigore e semplicità.
Qui, circondatosi di due famiglie - quella di sangue e quella di lavoro - produce un'opera che sfugge a ogni definizione, muovendo da un caso di stregoneria nell'Italia del '600 ad una contemporaneità vista con occhio spietato eppure ironico. Si veda il "vampirismo isolazionista" che muove il conte Basta, il dottor Quantunque e gli accoliti della setta: quasi un movimento politico, tra vecchia DC ed espedienti di più recente conio. Cos'altro? Quel finto ispettore del Ministero che pare uscito dalle pagine de "Il revisore" di Gogol fa il paio con Basta che si commuove cantando "Torna a Surriento": ma è bello che il tutto si concluda con Benedetta che - graziata trent'anni dopo da Federico, diventato cardinale - lo stende con la sua nudità non scalfita dagli anni; è la bellezza che incenerisce il male, lasciando spazio alla speranza. Tutto il resto - attori in stato di grazia (Herlitzka in testa), fotografia superba (Daniele Ciprì), montaggio perfetto (Francesca Calvelli) - soccorre, è ovvio: però, il modo migliore per affrontare "Sangue del mio sangue" è, per una volta, evitar d'analizzarlo con l'abituale strumentazione critica, bensì lasciandosi andare al flusso delle immagini, al ritmo interno della pellicola, alle intuizioni di un maestro che non conosce stanchezza.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

SANGUE DEL MIO SANGUE. REGIA: MARCO BELLOCCHIO. INTERPRETI: ROBERTO HERLITZKA, PIER GIORGIO BELLOCCHIO, LIDIYA LIBERMAN, ALBA ROHRWACHER, FILIPPO TIMI. DISTRIBUZIONE: 01. DURATA: 107 MINUTI.

Nessun commento:

Posta un commento