martedì 24 febbraio 2015

Vizio di forma

Gordita Beach, California, 1970. Larry "Doc" Sportello è un private eye sui generis, che abita nella South Bay sul tramontare dell'epoca hippie. Per salvare l'ex fidanzata Shasta, che teme di finir coinvolta nei traffici del suo  amante, il palazzinaro Mickey, accetta l'incarico di far delle indagini: c'è di mezzo la Mafia, e la ragazza crede addirittura che vogliano far ricoverare Mickey - divenuto scomodo - in una casa di cura. Flemmatico, e sovente sotto l'effetto di qualcosa, il peculiare detective finisce in un gioco più grande di lui, tra bizzarri personaggi delusi dalla controcultura, ragazze squillo, cliniche totalitarie, ed un misteriosa organizzazione, la Golden Fang, che gestisce il traffico di stupefacenti. A pedinare "Doc" il polizotto Bigfoot, attore televisivo a tempo perso e, in qualche modo, a lui speculare. Su tutto, incombe l'aria mefitica della paranoia seguita alla strage di Bel Air.

L'opera di Thomas Pynchon, forse il maggior scrittore statunitense vivente, non è mai stata trasposta sullo schermo: troppo azzardosa l'operazione, per un narratore immaginifico e geniale, parossistico e survoltato, labirintico e funambolico quanto il nostro. Quand'anche egli s'adegui ad una narrazione più classica, poco muta invertendo l'ordine dei fattori: si veda il suo meraviglioso "The Crying of Lot 49" (1966), ove ad indagare è una donna che risponde all'inverosimile nome di Oedipa Maas, alle prese con mad scientists, graffiti enigmatici e onnipresenti, associazioni segrete, congiure di destra, traffici di ossa umane, sigarette con filtri cancerogeni, pellicole proiettate con i rulli invertiti. Il tutto, collocato in quell'universo di media ingannevoli e di fotocopie senza originali, ch'è la California degli anni '60.

Anche in "Vizio di forma" - meglio la traduzione letterale, "vizio intrinseco": ad indicare insieme un Mac Guffin del gergo assicurativo e un'entità incapace di reggere all'urto di forze centrifughe - siamo in California, stavolta colta nel momento di un'epocale passaggio di consegne, dall'erba alla polvere d'angelo, dal flower power agli Hell's Angels, dal sogno alternativo all'edonismo reaganiano prossimo venturo. Acconciato come un Neil Young d'accatto (e del canadese triste passa, in colonna sonora, la splendida "Journey through the Past"), Doc si muove tra il letargico ed il fumato, capace tuttavia di mettere a posto, pur coi suoi tempi, tutti i pezzi del puzzle, sotto lo sguardo attonito dell'amico-nemico Bigfoot (il loro singolare rapporto pare memore di un antico cult poco noto, "Cisco Pike", del 1971).
L'amore per il noir, dal classico "Il grande sonno" di Hawks (1946) alla rilettura nervosa de "Il lungo addio" (1973) di Altman, risulta evidente da ogni inquadratura: "Vizio di forma" li eguaglia senza fatica, trovando un finale nel quale la tenerezza vela gli strumenti, e dice che se l'utopia universale disillude, l'amore si ritaglia un piccolo, non disprezzabile spazio tra cielo e terra, onde e amache, nostalgia e immaginazione.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

VIZIO DI FORMA. REGIA: PAUL THOMAS ANDERSON. INTERPRETI: JOAQUIN PHOENIX, JOSH BROLIN, KATHERINE WATERSTON, REESE WHITERSPOON. DISTRIBUZIONE: WARNER. DURATA: 160 MINUTI.

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