mercoledì 3 dicembre 2014

Magic in the Moonlight

Berlino, 1928.  Il famoso prestigiatore cinese Wei Ling Soo, in grado di fare sparire un elefante o di teletrasportarsi entusiasmando la platea, è nella vita reale Stanley Crawford, un gentiluomo inglese sentenzioso cui è affidato da un vecchio amico un curioso incarico: indagare su una sedicente medium (impegnata a circuire una ricchissima famiglia americana in vacanza sulla riviera francese), per stabilire se ella possieda autentiche doti divinatorie o, come qualcuno vorrebbe dimostrare ad ogni costo, sia solo una fascinosa ciarlatana . Fattosi passare per un uomo d'affari, Stanley incontra la giovane Sophie Baker e se ne innamora subito: ma per un uomo razionale e alquanto sprezzante come lui è difficile accettare il sentimento, peraltro ricambiato. Un temporale ed il ricovero della zia adorata faranno, infine, crollare le sue resistenze: forse il soprannaturale non esiste, però l'amore, innegabilmente, sì. 

Per la seconda volta in Francia dopo "Midnight in Paris", Allen torna con questo suo 44esimo film ad un tema che l'ha da sempre affascinato: la magia ed i suoi corollari, coma la divinazione, l'illusionismo e l'ipnosi (titoli? Si va da "Stardust Memories" ad "Alice", da "Ombre e nebbia" a "La maledizione dello scorpione di giada", da "Scoop" a "Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni"). La confezione di lusso - la luce della Riviera Francese anni Venti pare quella dei quadri impressionisti, i costumi ce li saremmo immaginati indosso ai protagonisti di "Tenera è la notte" di Scott Fitzgerald - non inganni: dietro lo scintillio generale, tra le eleganti decappottabili ed i cappellini a cloche, si consumano gli scampoli della Jazz Age mentre la Germania sta incubando il nazismo (non a caso, la pellicola si apre proprio a Berlino, tra un pubblico che non potrà ignorare a lungo gli effetti della Repubblica di Weimar). Insomma, le promenade lungo la Costa Azzurra, il gusto della comédie au champagne hanno un retrogusto malinconico, ben incarnato dal blend agrodolce della storia

Il cinema di Allen, come giunge sempre all'alternativa tra "orribile o miserrimo" di "Io e Annie", sovente s'arrovella pure attorno allo iato tra la realtà e la sua illusione. Una risposta precisa non v'è, e non la troverà neppure Stanley Crawford, perché per il cineasta-demiurgo l'importante è continuare a far domande. Tra un riferimento cinematografico e l'altro (si va da "My Fair Lady" di George Cukor a "Un amore splendido" di Leo McCarey), Allen continua a diteggiare su una tastiera ormai ben conosciuta dai suoi estimatori, che tuttavia non si stancano di ascoltarne le infinite variazioni. Qui, gli esecutori sono tra i più ispirati: Colin Firth gioca con raffinatezza tra cinismo e arroganza, per mascherare le intermittenze del cuore; Emma Stone è in perfetta sincronia con il tempo comico del regista. Insomma, per dirla col Maestro, se "l'eternità è troppo lunga, specialmente verso la fine", non resta che gettare la maschera cartesiana ed abbandonarsi all'illusione. Ricordando che - e lo sapevamo già dagli oramai remoti tempi di "Manhattan" - fra le cose per le quali vale la pena di vivere, di sicuro ci sono gli occhi di un'incantevole ragazza.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

MAGIC IN THE MOONLIGHT. REGIA: WOODY ALLEN. INTERPRETI: COLIN FIRTH, EMMA STONE, MARCIA GAY HARDEN. DISTRIBUZIONE: WARNER. DURATA: 98 MINUTI.

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