mercoledì 16 aprile 2014

La sedia della felicità

Bruna è un'estetista messa in ginocchio dalla crisi, tradita dal fidanzato, inoltre vessata da un fornitore privo di scrupoli. Quando le prospettive appaiono, oramai, per lei funeste, viene messa a parte di un segreto da una cliente in punto di morte, alla quale lima le unghie in carcere: genitrice di un bandito, Norma Pecche ha celato una fortuna in gioielli dentro una delle sedie del suo salotto. Noncurante del rischio, Bruna penetra nella villa della defunta; però, rimane malauguratamente bloccata dietro ad un cancello, in compagnia di un cinghiale. In suo soccorso chiama, allora, Dino, il tatuatore della vetrina accanto: anche lui non se la passa bene, e lei sceglie di coinvolgerlo nell'affare. Dopo avere scoperto il sequestro dei beni di Norma e la messa all'asta delle sue otto sedie, Bruna e Dino s'ingegnano a rintracciare collezionisti ed acquirenti, in caccia dell'imbottitura miracolosa. Ma v'è pure un corpulento sacerdote, ad aver ricevuto la preziosa confidenza dalla morente...

Si accomiata bene, dal suo percorso registico oltre che - purtroppo - dall'esistenza, Carlo Mazzacurati: atipico, divertito, a tratti pungente, "La sedia della felicità" è uno tra gli episodi più riusciti della sua non vastissima filmografia, per certo il più libero e rasserenante. Siamo, nuovamente, in quel Nordest che il nostro ha tante volte esplorato col suo cinema: l'estro è quello lieve de "La lingua del santo" (2000), le figurette che qui si muovono possiedono la stessa grazia di allora. C'è, a fare da trait d'union tra le due opere, il tentativo di raccontare un pezzo d'Italia contemporanea, all'insegna di un presente disastrato e paradossale. Lo sconquasso antropologico viene fuori con naturalezza dal racconto, che scansa le forzature e predilige una cifra rilassata: per il resto, questa ultima fatica è storia di miraggi e solitudini, narrata con quella naturalezza "invisibile" divenuta quasi marchio di fabbrica del cineasta padovano.

Da vedere, magari, assieme al bellissimo "Piccola patria", il lungometraggio d'esordio di Alessandro Rossetto che si muove nello stesso perimetro regionale, prediligendo la dimensione della tragedia classica, "La sedia della felicità" ricicla uno spunto classico - chi ricorda "Il mistero delle dodici sedie" (1970) di Mel Brooks, ennesima variazione sul tema di un antico romanzo di Il'ja Il'f ed Eugenij Petrov, più volte portato sullo schermo? - per cavarne nuova e gustosa linfa. Valerio Mastandrea, nei panni del volenteroso Dino, è perfetto coprotagonista di Isabella Ragonese, che dona a Bruna una intenerente credibilità. Gli altri tutti, da Battiston impegnato nella caratterizzazione di un prete sui generis, sino ad Albanese, Bentivoglio, Orlando, Citran ed altri ancora in cameo roles, illustrano con partecipazione il cinema consapevole ed amoroso di Carlo Mazzacurati, un amico che ci addolora di avere perduto.
                                                                                                                                     Francesco Troiano

LA SEDIA DELLA FELICITA'. REGIA: CARLO MAZZACURATI. INTERPRETI: VALERIO MASTANDREA, ISABELLA RAGONESE, GIUSEPPE BATTISTON. DISTRIBUZIONE: 01. DURATA: 98 MINUTI.


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